Trapani. Peppe Romano si racconta, da Flash alla pensione
«La divisa con le medaglie è conservata in un armadio per ricordo, ma ancora non ho metabolizzato il pensionamento, mi sento piuttosto in ferie; però ho già diversi progetti in mente, come quello di riprendere con la fotografia, una mia passione di gioventù».
Giuseppe “Peppe” Romano, sessantenne dallo scorso 15 febbraio, si prepara a tenersi occupato con qualche vecchia passione, ora che ha lasciato il comando del Reparto di Polizia penitenziaria della casa circondariale di Trapani, a conclusione di una carriera quarantennale che non gli ha impedito di scrivere romanzi e testi storici; di svolgere anche attività sindacale per gli agenti di custodia e, dopo la riforma del Corpo nel 1990, di operare con il Sappe per la nuova immagine e i diritti della polizia penitenziaria, anche fondando e dirigendo il giornale di categoria “Polizia Penitenziaria Nuova Realtà” che veniva distribuito ad agenti ed operatori delle carceri siciliane; poi, pure di candidarsi in diverse occasioni e a più livelli, riuscendo una volta ad essere eletto consigliere comunale a Trapani.
Sposato e padre di quattro figli che lo hanno fatto diventare nonno, Peppe Romano vanta anche un primato nazionale in ambito di controlli carcerari, ma la sua notorietà inizia con la partecipazione, e la vittoria per quattro settimane consecutive, al programma televisivo “Flash”, l’ultimo telequiz condotto da Mike Bongiorno sulla Rai.
«Sono stato campione di Flash nel 1981 – ricorda – quando avevo appena concluso l’anno di servizio militare da agente ausiliario e mi ero raffermato come agente di custodia, in servizio alla casa di reclusione di Favignana. Quell’esperienza televisiva ha contribuito a sdoganare la figura degli agenti di custodia, perché fu una delle prime volte in cui si parlò in televisione di questo lavoro, anche se brevemente; è stato un accenno abbastanza importante, e questo merito lo rivendico, perché grazie a Flash ho fatto conoscere gli agenti di custodia».
Si presentò al telequiz per rispondere a domande su Abramo Lincoln e la guerra civile americana. Come nasce la scelta di questa materia?
«È nata da una lettura casuale di Selezione (la rivista mensile “Selezione dal Reader's Digest”, ndr): mio zio ne aveva una catasta e me la diede da leggere quando avevo circa 16 anni; alla fine di ogni Selezione c’era un romanzo condensato, e uno di questi, “L’assassinio di Lincoln”, mi ha appassionato tanto da farmi approfondire poi la storia americana, la guerra civile, prediligendo la lettura di questi argomenti».
E la passione per Lincoln ha portato a vincere un cospicuo montepremi.
«Ho vinto quello che è servito per acquistare una casa, ed è stata sicuramente una base di partenza in vista del matrimonio, ma la partecipazione a Flash è servita anche per parlare pubblicamente del lavoro degli agenti di custodia e delle problematiche carcerarie, come il sovraffollamento e le carenze di organico».
Conclusa la parentesi televisiva, è iniziata la carriera lavorativa.
«Partendo da agente di custodia, ho fatto il corso di vice sovrintendente, ma nel frattempo c’è stata la riforma e da vice sovrintendente sono diventato vice ispettore; poi, da ispettore ho partecipato al concorso interno per vice commissario e l’ho vinto; nel frattempo mi sono laureato in Scienze giuridiche e sono andato avanti con la carriera, fino a diventare dirigente aggiunto della polizia penitenziaria, che equivarrebbe a vice questore. Insomma, da agente ausiliario, che è il gradino più basso, sono arrivato ad essere dirigente aggiunto: è una bella soddisfazione».
Nel frattempo ha scritto diversi romanzi.
«Ho pubblicato quattro romanzi, più una ricerca storica che è pubblicata sul sito Trapani Nostra ed è incentrata sulle carceri della provincia di Trapani, “Dalla Colombaia alla Fortezza di Santa Caterina”, e di fatto è un libro aperto, iniziato alcuni anni fa con pochi articoli che parlavano di San Giuliano, Santa Caterina, San Giacomo, il forte di Marettimo, e pian piano si è allargato, perché lo aggiorno di tanto in tanto con i risultati delle ricerche che continuo a svolgere; ultimamente ho trovato notizie su un omicidio avvenuto nel 1822 a Favignana ed ho scritto un pezzo; ho trovato anche altro materiale sulla morte di un relegato al Bagno penale dell’isola, precipitato il 7 gennaio 1826 mentre cercava di raccogliere erba oricella da un costone roccioso, e da lì mi si è aperto un mondo sulle esportazioni e sull’economia che c’era a Favignana in relazione all’erba oricella, lichene che serve per tingere i tessuti».
Il primo romanzo è stato “Dall’altra parte delle sbarre”.
«È un libro del 1988, autobiografico, perché è la prima esperienza come agente di custodia. Me lo pubblicò Mauro Rostagno, che lo lesse e rimase entusiasta, tanto da stamparlo con la sua cooperativa Kukku presente a Saman. È un romanzo che ha avuto un buon successo di vendite considerata la realtà trapanese: qualche migliaio di copie. Nel frattempo mi ero congedato, e nulla faceva presagire che poi sarei tornato nella Polizia penitenziaria».
Perché questo abbandono temporaneo?
«Perché tempo prima avevo partecipato ad un concorso al Municipio di Trapani, e quando si sbloccò la graduatoria mi ritrovai a dover scegliere se restare nel Corpo o congedarmi. Pensavo di scegliere in meglio, per una vita lavorativa più riposante, ma dopo quattro anni e tre mesi di servizio al Comune (tre dei quali al cimitero con mansioni diverse in base alle esigenze d’ufficio, da custode a becchino, da vice direttore a direttore), si prospettò la possibilità di essere riammesso in Polizia penitenziaria e ne approfittai subito».
Già pentito del cambio?
«Sì, ero pentito, soprattutto dal punto di vista economico, perché c’era una differenza di stipendio di quasi quattrocentomila lire all’epoca, ed era una grossa perdita. Non mi sono invece pentito di avere fatto la riammissione, perché nel frattempo erano cambiate le condizioni lavorative ed economiche, quindi è stato gratificante».
Ma dal sevizio al cimitero comunale è nata l’ispirazione che ha portato alla nascita degli altri tre romanzi.
«Sì, ho avuto l’ispirazione per creare questi personaggi, il mondo particolare che ho raccontato in “Chi scaverà la fossa?” e nei seguenti “Il figlio della salma” e “Per un loculo di terza fila”. Ho scritto anche altri racconti, prevalentemente carcerari, ma non li ho ancora pubblicati, anche se ne ho anticipato qualcuno sul gruppo Facebook che ho fondato, “Gloriosi agenti di custodia”, arrivato adesso a novemila iscritti, per la maggior parte pensionati del Corpo».
C’è stata anche la parentesi politica, con numerose candidature tra gli anni Novanta e i primi anni del Duemila.
«C’è stata una parentesi di un anno, nel 2006, come consigliere comunale a Trapani, ma già avevo partecipato a diverse competizioni elettorali. In quel periodo della mia vita svolgevo attività sindacale, e quindi speravo di arrivare ad occupare uno scranno al Consiglio comunale o provinciale per dare più forza alla polizia penitenziaria, per avere un po’ di voce in capitolo anche a livello politico. Questo era il mio scopo, ma purtroppo non mi è riuscito del tutto, tranne quella breve parentesi, perché non siamo molto uniti come categoria e ci siamo sempre frazionati: anziché appoggiare un unico candidato forte, c’erano venti, trenta candidati che rosicchiavano i voti, perché nelle forze di polizia chi si candida ha diritto a trenta giorni di congedo straordinario»,
Quindi ne approfittavano in molti …
«Un po’ per i trenta giorni di congedo, un po’ per mettermi i bastoni tra le ruote, alla fine non riuscivo mai ad essere eletto, spesso per pochi voti, compresa la volta che mi candidai al Consiglio provinciale e arrivai a prendere 968 voti, risultando alla fine secondo con uno scarto di circa sessanta preferenze».
Ci fu anche una candidatura a Favignana.
«A Favignana mi candidai come sindaco, contemporaneamente alla candidatura a consigliere provinciale, ma fu più che altro una sfida, e ottenni comunque oltre duecento voti».
Poi l’allontanamento dalla politica.
«Mi allontanai perché era una continua delusione, per tante promesse mancate. Volevo fare quella esperienza, ma non mi è stato possibile, perché ci sono sempre i classici giochi politici, che forse non fanno nemmeno parte della mia cultura. Così ho abbandonato via via questa aspirazione».
In ambito carcerario, Peppe Romano vanta un primato legato all’individuazione di telefoni cellulari nascosti dai detenuti.
«Sono stato uno dei primi in Italia a scovare telefonini nascosti nell’ampolla rettale, con l’ausilio di uno strumento che ho fatto comprare all’amministrazione: un apparecchio che rileva la presenza di componenti elettronici, anche se nascosti nell’ano, e la segnala illuminandosi ed emettendo un suono continuo. Se questo succede, è sicuro che c’è almeno un telefonino nascosto. È stata una soddisfazione insegnare ad altri colleghi come utilizzare questo strumento, dando anche delle dritte su come reperirlo. Questa è stata una delle ultime cose che ho fatto prima del pensionamento».
A quando risale la scoperta del primo telefonino con questo espediente elettronico?
«Risale al febbraio 2016. Ricordo che era un detenuto rientrato dal permesso e aveva appunto nascosto un telefonino nell’ano. Io avevo già provato il funzionamento dell’apparecchio facendo un esperimento: avevo infilato un telefonino in un pollo acquistato al supermercato ed avevo appurato che lo strumento suonava quando lo passavo sopra il pollo. Quindi, nel momento in cui ci fu il sospetto che il detenuto avesse nascosto un telefonino nel proprio corpo, utilizzammo lo strumento e individuammo subito il cellulare. Questo fenomeno dei telefonini nascosti, nella nostra provincia continua da cinque anni, in altre carceri forse da qualche anno in più».
Si tratta ovviamente di cellulari di piccole dimensioni ...
«Sono cellulari di circa cinque centimetri. Ma un giorno un detenuto ne ha espulsi quattro in una sola volta. Tanti telefonini alimentano un commercio interno, perché vengono venduti ad altri detenuti per trecento, quattrocento euro; in un certo senso, si mantengono all’interno del carcere facendo questi traffici, ed è un problema. Ma adesso sono solo ricordi».
Ricordi, comunque, ancora abbastanza recenti, perché il pensionamento è iniziato soltanto da pochi giorni.
«Sicuramente non avrò modo di annoiarmi, perché ho ancora mille cose da fare, come scrivere, stare con i miei figli e mia nipote di 7 anni che danno comunque da fare».
E tra i progetti in cantiere, c’è quello della fotografia.
«Facevo fotografie agli inizi della mia vita lavorativa, intorno ai 19 anni, con una Olympus: ero appassionato, mi sviluppavo le foto in casa. Mi è sempre piaciuta la fotografia. Quindi penso proprio che tornerò alle foto».