'Hill of Vision: la rivincita di Mario Capecchi'

'Hill of Vision: la rivincita di Mario Capecchi'

La collina della visione spalanca le porte verso la psiche e i ricordi di un giovane Mario Capecchi. Un’infanzia dannata dalla guerra. Figlio di padre fascista e madre di origini americane: due ossimori che, come titani, negli anni si sono scontrati fino a distruggersi. D’altronde che futuro poteva avere una coppia formata da una donna proveniente da uno stato liberale e un uomo avvezzo alla dittatura e alle oppressioni elitarie.

In questo contesto politico-sociale e familiare si fonda la storia di Mario. In quel frangente il paese si prepara alla guerra, mentre lui ancora troppo piccolo per capire cosa stesse succedendo si ritrova, portato dalla madre, ospite di una famiglia di contadini in Alto Adige.

Inizialmente per il bambino l’abbandono da parte del genitore è stato molto duro da accettare. Infatti, come spiega anche il regista Roberto Faenza “il rapporto tra Mario e la madre è conflittuale e lo segnerà per tutta la vita, tanto che nella casa in cui ancora oggi vive sulla sinistra dell’entrata ha un baule malridotto della madre che ancora si ostina a non voler aprire”.

La speranza però non si affievolisce, il bambino continua a pregare e sperare di vedere ricomparire quel volto tanto amato a cui è morbosamente legato.

Nonostante le giornate passano felici, tra qualche gioco in strada e le attività per imparare il mestiere in fattoria, Mario sente l’esigenza di andare via. Nel frattempo la guerra si fa sempre più dura e i fascisti marciano sull’intera nazione. La paura di nascondere un figlio di un’americana in casa sale sempre di più tra i contadini.

Stanco di portare questo peso e sovrastato dai sensi di colpa, appena compiuti 10 anni Mario decide di lasciare la famiglia per iniziare il suo viaggio alla ricerca della madre. Inizia così la sua odissea. Cercando cibo qua e là, è maltrattato e allontanato dai cittadini.

Una delle caratteristiche sceniche del film è quella di far vedere un bambino provato dalla vita e dalla guerra. Nel suo viso si legge la sofferenza ed è visibile il solco segnato dalle atrocità umane.

Ben presto però la musica ritorna a suonare nella vita di Mario. Infatti, durante una serata di pioggia, mentre cerca riparo, incontra Frank e suo fratello. In realtà i due bambini sono rimasti orfani e i conflitti li ha segnati talmente tanto che il bambino ha deciso di non parlare più. In contrasto a tali atrocità però, dopo continue peripezie, i due decidono di trovare nell’amore l’uno per l’altra la forza vitale per sopravvivere.  

Dopo un iniziale tumultuoso e diffidente incontro, i tre diventarono inseparabili.  Con giochi astuti i furfantelli si procacciano il cibo escogitando tranelli ai commercianti.

Malgrado quell’apparente serenità e spensieratezza, Mario continuava a essere ossessionato dagli incubi sulla madre. La sogna e desidera di rivederla e riabbracciarla. Stufo di rimanere inerme, ancora colmo di speranza il ragazzo decide di andare a trovare il padre per verificare se avesse sue notizie.

Tuttavia, al posto del padre amorevole che ricordava trova un uomo profondamente cambiato dalla guerra: intollerante, aggressivo e inumano. Giunti da lui tratta Mario e i suoi amici come selvaggi. Dopo continui soprusi, i tre decino di lasciare quella casa e ricominciare a vagabondeggiare per le strade. Una libertà che però dura poco. Catturati dalla polizia, sono spediti in un orfanotrofio religioso.

Similmente a un riformatorio o a una caserma militare i bambini vengono maltrattati e seviziati dai due guardiani. Nel frattempo la guerra continua a mietere vittime e tra queste c’è anche Frank. Da poco Mario si era dichiarato alla ragazza regalandole un anello fatto da lui, ma un aereo militare sgancia delle bombe sull’orfanotrofio e Frank viene colpita dalla macerie.  Da quel momento Mario cade in un tunnel profondo a causa del quale si ammala: si rifiuta di parlare e mangiare per il forte shock.

Ormai morente improvvisamente per il giorno del suo compleanno riceve il regalo più bello che possa desiderare: come un sogno onirico vede sua madre comparire nel giardino. Sopravvissuta alla shoah riesce a trovarlo per portarlo in America.

Finalmente insieme madre e figlio partono alla ricerca di una vita migliore e la volontà di lasciarsi tutto alle spalle. Arrivati negli Stati a stelle e strisce sono accolti dalla comunità Quacchera che vive a Hill of vision, in cui abitavano lo zio di Mario e la moglie, due scienziati.

Il cambiamento di scenografia e anche di stato d’animo è visibile nei colori molto più accesi e luminosi delle riprese. Infatti, in contrapposizione allo scenario cupo e torbido raccontato nella prima parte del film, adesso il paesaggio è luminoso e anche i personaggi sembrano emanare luce propria.

Tuttavia, quella bellezza irradiata dalla luminosità scenica entra in netto contrasto con lo stato d’animo di Mario che si sente fuori luogo. I segni della guerra sono ancora visibili, infatti, il ragazzo fa difficoltà a integrarsi: oltre a non sapere la lingua e a essere analfabeta, non riesce a controllare i suoi impulsi violenti. Degli atteggiamenti considerati intollerabili in una scuola elitaria come sua. Difatti, a causa di qualche arringa, con un bullo che l’aveva preso di mira, è espulso dalla scuola.

Nel completo caos della situazione, quasi ingestibile e frustante per gli zii, la madre di Mario si ammala. Lui insieme al genitore si ritrova a combattere i fantasmi del passato. Le visioni si fanno sempre più forti fino a quando nuovamente non è costretta ad abbandonare il figlio per farsi curare in un centro psichiatrico.

Un ulteriore episodio che lo inabissa incupendo il suo umore. I giovani zii però si assumano la responsabilità di far guarire il nipote e cercano di aiutarlo a trovare se stesso. Lo zio, uno scienziato, lo avvicina alla chimica e grazie alle provette del piccolo chimico intuisce il suo grande potenziale.

Uno dei grandi problemi da risolvere però resta la rabbia incontrollata, così gli zii cercano insieme a lui di far incanalare la rabbia attraverso lo sport. Quello a cui sembra più prestante è la Box.

La storia di Mario vuole essere d’esempio per innumerevoli bambini che ancora oggi si ritrovano ad affrontare numerose difficoltà in un periodo delicato come l’infanzia e l’adolescenza. Come rileva anche il regista Faenza “Mario all’inizio era diffidente, non voleva aprirsi con noi, ma nel momento in cui ha capito che noi non avremmo alterato la sua storia, ma avremmo raccontato la sua infanzia è stato un fiume in piena. Insieme volevamo raccontare una biografia che poteva essere d’esempio per gli altri bambini disadattati come lui”.