Le notti bianche di Dostoevskij

Le notti bianche di Dostoevskij

L’invasione russa in Ucraina va ormai avanti da più di un mese. Come in ogni guerra la narrazione tende ad attribuire sempre una vittima e un carnefice. La costruzione di un nemico, come diceva Umberto Eco, non solo è importante per affermare la propria identità, ma anche per costruire il proprio sistema di valori e principi.

Tuttavia, al di là dei meccanismi psicologici e delle complesse tangenti intrinseche nelle relazioni internazionali che hanno un ruolo predominante nei conflitti, l’atto di ostracismo nei confronti della cultura russa è stato immotivato. Fortunatamente l’episodio di cancel culture, nonostante sia stato singolo, ha avuto un forte riverbero nell’opinione pubblica.

L’episodio in questione ha visto come protagonisti il professore Paolo Nori e l’Università Bicocca di Milano. A poche settimane dallo scoppio della guerra e dall’inizio dell’invasione russa, l’Università Bicocca, per solidarietà al popolo ucraino, ha deciso di sospendere il seminario sullo scrittore russo Fedor Dostoevskij, tenuto dal professore Nori.

Questa decisione ovviamente non è stata esente da critiche. Lo stesso professore il 13 marzo, durante la festa del libro e della letteratura Libri come a Roma, ha tenuto all’interno del panel Lezioni Letteratura un incontro proprio sull’autore russo. Proprio in questa occasione si è voluta far emergere l’importanza di un autore come Dostoevskij nella letteratura straniera e la sua contaminazione e indiscussa traccia che ha lasciato fino ad oggi nel panorama letterario.

Nonostante i buoni intenti con cui l’Università abbia adottato la censura, l’atto di cancellazione di una cultura o di una parte di essa è un gesto malsano e per nulla costruttivo ed educativo. Ma soprattutto non arreca nessun beneficio e non può essere visto come un segno di solidarietà nei confronti del popolo ucraino.

Dunque, dato che sono del parere che un autore dell’800 non può pagare per le azioni commesse tre secoli dopo e, soprattutto, poiché credo nell’importanza della cultura passata e presente, la sfaccettatura di questo mese sarà la letteratura. E non a caso, sarà dedicata a uno dei più grandi autori russi: Fedor Michajlovic Dostoevskij. Con uno dei libri che ha fatto innamorare persone di ogni genere, ci immergeremo ne Le notti bianche di una Pietroburgo nebbiosa, ma calda di amore. 

Fedor Michajlovic Dostoevskij

Fedor Michajlovic Dostoevskij, conosciuto in Italia come Teodoro Dostoevskij, nacque nel 1821 a Mosca da una famiglia nobile da parte del padre e di ceto alto dalla madre e un’educazione principalmente religiosa. Dopo la morte del padre ebbe il suo primo attacco epilettico. L’epilessia sarà una sua compagna di vita.

Successivamente un paio di anni di servizio militare nel 1843 si diploma e decide di rinunciarvi. Così inizia una vita di privazioni e stenti, lottando tra la povertà e una salute cagionevole. Proprio per questo motivo in quel periodo scrisse il suo primo romanzo la Povera gente che fu pubblicato nel 1846. Nell’estate del medesimo anno scriverà il suo secondo romanzo Il sosia. Un libro che immerge il lettore in uno sdoppiamento psichico, che tuttavia non riceve il consenso del pubblico. A novembre scrive Romanzo in nove lettere. Fu in questo periodo che porterà alla luce lo scritto Le Notti bianche. Q

Nel 1849 venne arrestato per aver partecipato a una società segreta con scopi sovversivi. Condannato alla pena capitale con fucilazione, venne graziato dallo zar Nicola I che convertì la pena con i lavori forzati a tempo indeterminato. Tuttavia, questo non fu subito riferito allo scrittore che lo scoprì soltanto giunto al patibolo. Questo episodio lo segnerà molto. È evidente nelle riflessioni sulla pena di morte presenti in Delitto e Castigo e ne L’idiota.

 

Un trauma talmente forte che gli riporterà le crisi epilettiche che già nella sua infanzia avevano segnato la sua esistenza.

Dopo essere stato graziato della vita, viene deportato in Siberia e sarà liberato soltanto nel 1854 per buona condotta. Da questa esperienza scriverà Memorie dalla casa dei morti. Dieci anni dopo il concedo dall’esercizio e il ritorno nella Russia europea, pubblicherà in uno dei suoi giornali Memorie dal sottosuolo.

Intorno agli anni ‘70 lavorerà intensamente al suo romanzo I demoni, con cui l’autore sembra rinnegare il suo passato da nichilista. Continua il suo lavoro intellettuale, tuttavia, intorno al 1881 comincia ad aggravarsi a causa del suo enfisema. Si spegnerà definitivamente il 9 febbraio di quell’anno a San Pietroburgo.

Le notti bianche

Il nome del racconto fa riferimento al periodo russo in cui nella zona Nord, che include anche San Pietroburgo, il “sole tramonta verso le nove di sera e si alza verso l’una del mattino”. 

 “La notte era bella, meravigliosa – una di quelle notti, caro lettore, che soltanto la giovinezza può comprendere pienamente”.

Il protagonista è un 26enne, che si definisce un sognatore poiché la realtà è troppo poco profonda per appagare le sue aspettative. Infatti, attraverso il suo mondo onirico vuole dimenticare quello reale. Un giovane senza amici nè conoscenti con cui condividere la propria gioia e i propri momenti. Nella solitudine trova ristoro e questa è forza motrice delle sue fantasie. Allo stesso tempo quella solitudine lo affligge poiché non riesce a spiegarsi perché in tutti questi anni a San Pietroburgo l’unica vera amica è la città. Ma alla fine “a che mi servirebbero gli amici?”, se ha un’intera città.

Nel buio della sua bolla osserva e disegna le vite delle persone che incontra: “conoscevo tutti”, ma “senza dubbio, neppure uno di quelli che incontrai si ricordava di avermi mai conosciuto”. Immaginando di parlare con le case, scambiando sorrisi con le finestre, percorre la città tra fraseggi colloquiali. Tuttavia, ad un certo punto durante la sua prima notte vide una ragazza “probabilmente mora” lungo il fiume. Da attento osservatore esterno la studia nei suoi gesti e movimenti notando anche i più piccoli dettagli. Movenze che fanno risvegliare in lui sentimenti impolverati di un’amore trepidante.  

Dopo un primo incontro quasi impacciato, i due si scambiano discorsi e battute fugaci. Frank fin da subito parla della sua disabitudine ad accompagnarsi con donne, dunque per questo ha paura di essere impacciato o di sbagliare i modi. Ma Nastenka, la bella ragazza dagli occhi ancora un po’ lacrimanti, lo rassicura dei suoi modi gentili e piacevoli.

Frank, perdendosi nei suoi “occhi gentili e intelligenti”, lascia lascia spazio ai suoi pensieri. Ma è proprio in quella notte, mentre il sognatore si perde nei suoi sogni, che Nastenka rivela la sua storia.

A soli quindici anni smise di studiare e da lì sua nonna anziana e cieca, incapace di controllarla a sufficienza, la legò a sé cucendo i loro vestiti. Una catena che impedì alla ragazza di vivere una vita serena lontana dalle grinfie e dagli occhi rapaci della nonna.

Ma proprio in quella “casa piccola, con tre finestre in tutto, completamente di legno e vecchia come lei”, nel piano superiore dopo la morte del vecchio inquilino, si era stabilizzato un giovanotto. E proprio di quell’uomo, “non proprio giovane, ma neppure vecchio”, simpatico e dai modi gentili, che Nastenka si innamorò. In lui trovò la sua via di fuga. Ma presto l’amore fu stroncato. Finiti i suoi affari l’inquilino comunicò alla nonna e alla ragazza che doveva ripartire per Mosca, almeno per un anno. Al suono di quelle parole la fanciulla si sentì mancare per il dolore. L’amore che lei provava era troppo forte per sopportare un così lungo distacco. Tuttavia, l’uomo non poteva garantirle una vita agiata, nonostante qualsiasi vita lontana dalla arcigna nonna sarebbe stata migliore della sua. Allora fu in quel momento che invocò la promessa che Nastenka ancora rammenta per illuminare le sue lunghe notti.

“Ascoltate, mia buona, mia cara Nastenka. Se un giorno avrò la possibilità di prender moglie, vi giuro che sarete voi colei che farà la mia felicità. Vi assicuro che ora voi sola potete fare la mia felicità. Ascoltate: io vado a Mosca e vi rimarrò giusto un anno. Spero di accomodar bene i miei affari colà. Quando ritornerò, se allora non avrete cessato di amarmi, vi giuro che saremo felici. Adesso è impossibile: non posso, non ho il diritto di promettervi nulla”.

Un promessa che sigillò il loro amore. Ciononostante dopo un anno la ragazza è ancora lì pronta ad attendere sbocciare il suo amore, l’uomo è tornato da tre giorni a San Pietroburgo, ma ancora non ha fatto avere sue notizie. Ma nonostante il suo amore, il sognatore vuole spingere la ragazza a prendere l’iniziativa e scrivere una lettera al suo amato. Tuttavia, Nastenka ha già in mano una lettera e chiede al sognatore di consegnarla al posto suo.

I due si danno appuntamento alla notte successiva. Nastenka è trepidante, sa che il protagonista ha consegnato la lettera e dunque attende l’arrivo del suo amato. Ma lui non arriva e cede alla disperazione dei suoi sogni infranti. In quel momento, mentre il sognatore cerca di consolarla in ogni modo, la fanciulla lo guarda per quello che è: un uomo gentile, che con i suoi modi così sensibili la fa sentire amata e si chiede perché non ama una persona come lui.

Il sognatore, però, non coglie l’occasione per dichiararsi, ma spinge Nastenka a credere ancora in quell’amore così fiabesco.

Giunge la quarta notte e il protagonista arriva al loro appuntamento convinto di trovare la fanciulla tra le braccia del suo amato. Invece, la vede lì sola e in presa all’agonia ed allora che le rivela il suo grande amore per lei. Nastenka inizialmente rimane sbigottita, ma presa dalla rivalsa chiede al sognatore se è disposto ad aspettare che il suo cuore guarisca. Lei sa che potrà innamorarsi di lui, poiché si è preso cura di lei. Ma proprio mentre iniziano a disegnare i loro progetti arriva il suo vero amato. È lì proprio difronte a lei. Pietrificata da quella visione comincia a tremare dall’emozione e in un lampo dimentica tutte le promesse e quei sogni insieme e corre via. Solo per un attivo si volta. Torna indietro e dopo un bacio, quasi di conferma a quell’amore fugace, scompare nella nebbia di San Pietroburgo lasciando l’uomo da solo.

 

È così che il protagonista ritorna al suo stato iniziale: un sognatore che si aggrappa alla vita osservando le vite degli altri, senza mai vivere tuttavia la realtà. L’amore per Nastenka sarà il sentimento più profondo che lui abbia mai provato, ma ciò che lo consolerà nella sua triste vita sarà la speranza che lei sia felice per sempre con il suo amato. 

Le notti bianche di Dostoevskij